Katia Malatesta

Vicepresidente del Forumpace dal 2018 a oggi

Dovendo descrivermi con una sola frase, direi che sono un’operatrice culturale. Ho un lavoro che amo, all’interno della Soprintendenza per i beni culturali della Provincia di Trento; per un’ex studentessa di storia dell’arte, il conseguimento ideale di tutto un percorso di studi, che però è arrivato tardi, a quarant’anni, e bene così, perché nel frattempo ho vissuto esperienze del tutto ‘fuori programma’ che mi hanno letteralmente cambiato la vita e portato qui, oggi, a dare un’accezione più ampia e fortemente valoriale a tutto il mio impegno nel settore cultura.

Per fare ordine, partirei ricordando che sono cresciuta in contesti fortemente connotati sotto il profilo della partecipazione studentesca: prima il liceo in Emilia, poi gli studi universitari a Pisa, nel periodo del ritorno della guerra in Europa. Ricordo ancora con emozione le grandi manifestazioni sui lungarni, e le infinite discussioni in un piccolo centro sociale che organizzava anche un cineforum, zero intrattenimento, 100% impegno civile, giusto un pizzico di masochismo…

Nel 2004 ho seguito il mio compagno, Simone, e per un caso, fortunato, siamo finiti in Trentino. Ho cominciato a collaborare con la redazione cultura del giornale l’Adige: una stagione bellissima, che mi ha messo in contatto con la vivacità del tessuto associazionistico, delle innumerevoli iniziative artistiche, teatrali, cinematografiche. Ecco, il cinema.

Un giorno – era il 2005 – il caporedattore mi incarica di seguire dall’inizio alla fine l’edizione del Religion Today Film Festival. Parto con scarsissimo entusiasmo, amavo il cinema, ma non avevo nessun particolare interesse per le religioni. E invece è stato l’inizio di un incredibile percorso, che mi ha aperto un mondo di diversità, regalato scoperte, amicizie, viaggi memorabili, da Gerusalemme all’Armenia, dove abbiamo contribuito a disegnare un nuovo festival dedicato alla promozione di amore, solidarietà e human values, fino ai sottili equilibri del Fajr Film Festival di Teheran, dove ho vissuto l’esperienza fortissima di fare parte di una giuria interreligiosa che era nata subito dopo l’11 settembre 2001, per opporsi alla retorica dello “scontro di civiltà”.

Negli anni sono passata dall’ufficio stampa alla commissione di selezione, dalle attività con le scuole, che ancora seguo e considero prioritarie, alla direzione del Festival, che ho guidato per nove edizioni, tra il 2008 al 2018. Tutto questo in un periodo che, qualsiasi significato vogliamo dare al  concetto di post-secolarizzazione, ha visto, nel bene e nel male, il grande ritorno del religioso al centro del dibattito pubblico, le tragedie del fondamentalismo, ma anche gli sforzi quotidiani del dialogo interreligioso, i gesti concreti di amicizia di tante e di tanti, a partire proprio da qui, dal contesto trentino, dalla realtà viva del Tavolo locale delle appartenenze religiose.

Potrei citare mille aneddoti, uno per ogni ospite che abbiamo avuto a Trento, o per ogni persona che ci ha aperto le porte, da Roma al piccolo paese del Cilento. Mi limiterò al dono, non posso chiamarlo diversamente, che ci fece la famiglia di Ahmed Zamal, direttore del Dhaka International Film Festival. Ci invitarono a casa loro, un tuffo allucinante nel traffico, poi i profumi di spezie sulla soglia, il banchetto regale che aveva richiesto ore di preparazione, e le due bambine che ci presero le scarpe e ci accompagnarono nella loro camera,  perché per prima cosa devi far riposare il tuo ospite, mettendoci a letto, sistemandoci cuscino e lenzuolo perché nulla potesse disturbarci. Una lezione di ospitalità, di civiltà, che ancora mi fa venire un nodo alla gola.

E accanto agli incontri con le persone che giorno per giorno, anno dopo anno, mi hanno aiuto a scoprire pregiudizi e rigidità di cui non ero consapevole, che mi illudevo estranei al mio percorso di donna-aperta-tollerante-cittadina del mondo (quanta presunzione!); accanto alle prove quotidiane di ascolto, di dialogo, alla scoperta mai banale, spesso faticosa, di un atteggiamento mentale, di un metodo da riportare anche nel rapporto con la famiglia, gli amici, i colleghi di lavoro; assieme a tutto questo, una nuova consapevolezza del potenziale del cinema per un’ampia diffusione del discorso sulla diversità, la discriminazione, la trasformazione del conflitto.

Ho imparato a riconoscere il mestiere e la dedizione di tante e tanti filmaker che in tutto il mondo, spesso in contesti di produzioni indipendenti, low budget, traducono sogni, convincimenti, l’impegno di una vita in movies that matter – la bella espressione consacrata dai festival specializzati, dal circuito che ruota attorno al fenomeno in continua espansione noto come Human Rights Cinema.

Ho toccato con mano, negli incontri con centinaia di classi, nella curiosità senza filtri dei bambini, nel lavoro di gruppo con le classi delle superiori, quanto il cinema possa essere realmente un pilastro dell’educazione ai diritti e alla cittadinanza globale, e quanto la visione del film come esperienza collettiva diventi occasione di un brainstorming partecipato che arricchisce tutti, “esperti” compresi. E tutto in virtù delle particolari, specifiche caratteristiche del linguaggio filmico. Perché da sempre l’immagine e la narrazione  giocano un ruolo fondamentale nella formazione della consapevolezza sui diritti umani, che rischiano di rimanere qualcosa di astratto e unidimensionale in mancanza di forme concrete di rappresentazione. 

Da qui è nato anche il rapporto col Forum. La collaborazione è partita nel 2011, durante la presidenza di Michele Nardelli, che aveva lanciato il tema annuale della cittadinanza euromediterranea. Fu la spinta per valorizzare insieme la cinematografia del Medio Oriente, e in particolare la questione israelo-palestinese, che anche in seguito sono rimaste centrali nella nostra collaborazione col Forum. Dal 2013, come rappresentante di BiancoNero, l’associazione che organizza Religion Today, ho cominciato a far parte del consiglio direttivo del Forum e trovandomi a conoscerlo meglio, dall’interno, è stato naturale avviare una serie di nuove proposte, con particolare riguardo alle scuole.

Ogni anno il Forum assegna il premio “Nello spirito della pace” al film in concorso più in sintonia con i nostri temi. E a sua volta l’esperienza del Festival ha sollecitato nuove forme di attenzione all’interno del Forum, sull’importanza delle rappresentazioni mediatiche nella costruzione del Nemico o all’opposto della cultura della pace e dei diritti: una cultura in continua evoluzione, di cui il cinema, con la sua pluralità, riesce a cogliere tempestivamente i mutamenti.